martedì 26 marzo 2013

FRANCESCO CALA L'ASSO DELLA POVERTA' EVANGELICA



Dopo che si è molto discusso sullo stile di vita e sul passato del nuovo papa, credo sia utile cercare di riflettere anche su quel che potrà riservarci in futuro questa elezione. Che a sua volta aiuta meglio a capire molti dei motivi che hanno indotto Ratzinger a dimettersi «per il bene della Chiesa». 



Perché Ratzinger ha dovuto dimettersi Il pontificato di Wojtyla aveva compiuto un miracolo: porre fine alle aperture dell'età giovannea, liquidare l'eredità del concilio e indirizzare la Chiesa sulla strada della restaurazione senza perdere, anzi consolidando e rafforzando, il dialogo con le altre religioni e il feeling instaurato da Giovanni XXIII coi fedeli. Ed è proprio questo, invece, il capitale dilapidato da Ratzinger. Papa ombra già al tempo di Wojtyla e abile, come pontefice, nel dettare la linea, Benedetto XVI è stato incapace non solo di governare e tanto meno di "ripulire" la Curia, in cui sono esplosi scandali e conflitti a catena, ma di far procedere il dialogo interreligioso, che si è barcamenato fra gaffe e rettifiche, e di "conquistare" i fedeli, che si sono piuttosto allontanati, non solo quelli di un'Europa sempre più secolarizzata ma anche quelli del terzo mondo. L'emorragia di adepti, in fuga verso altre chiese cristiane, si è aggravata particolarmente in America latina, dove si concentra il 40 per cento di tutti i cattolici e dove la crisi di consensi era cominciata già sotto Wojtyla che, come scrive nel suo blog Gennaro Carotenuto, «combatté e vinse la battaglia con la teologia della liberazione per perdere poi quella con le chiese protestanti». In America latina, per di più, si è assistito all'avanzata di governi socialisti e progressisti che minacciano, oltre a ricchezze e privilegi, gli stessi «valori non negoziabili» cari a Ratzinger e Wojtyla. Proprio qualche mese fa ad esempio, in Argentina, è passata una legge sulle unioni civili che equipara quelle fra persone dello stesso sesso al matrimonio «fra un uomo e una donna». Perché Bergoglio Se questo insieme di difficoltà e di fallimenti sono alla base delle dimissioni di Benedetto XVI, si può capire come anche un conclave fra i più retrivi abbia potuto identificare un successore adeguato nel gesuita, e arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Bergoglio. Legatissimo a Wojtyla, da cui fu fatto cardinale, Bergoglio condivise con lui la lunga lotta contro la teologia della liberazione e, come provinciale dei gesuiti, impose il suo conservatorismo teologico anche alla compagnia, che in America latina era tradizionalmente molto aperta: Bergoglio, secondo il gesuita uruguayano Pérez Aguirre, trasformò la «Compagnia da progressista in conservatrice e retrograda». Tale conservatorismo, e l'ostilità verso le idee rivoluzionarie, può spiegare anche il suo comportamento negli anni della dittatura, che alcuni considerano colluso, altri quanto meno opaco. Lo stesso Nobel per la pace Adolfo Pérez Esquivel, secondo cui Bergoglio non è stato «complice della dittatura», ha aggiunto nel suo blog che «gli mancò il coraggio di accompagnare la nostra lotta nei momenti più difficili». In ogni caso l'arcivescovo di Buenos Aires è in forte continuità con Ratzinger e Wojtyla specie in materia di «valori non negoziabili». Esemplare in questo senso la battaglia da lui condotta contro la legge sulle unioni civili prima ricordata. Bergoglio non si è limitato a dichiarare non accettabili per i cattolici i matrimoni gay, ma ha promosso una mobilitazione di piazza contro l'approvazione della legge e ha invitato i monasteri carmelitani della capitale a pregare «il Signore affinché mandi il suo Spirito sui senatori che saranno impegnati a votare. Che non lo facciano mossi dall'errore o da situazioni contingenti, ma secondo ciò che la legge naturale e la legge di Dio indicano loro». Al pari di Woytjla, che nel 1994 aveva condannato la mozione del parlamento europeo a favore delle unioni di fatto perché «non conformi al piano di Dio», Bergoglio ha definito la legge sulle unioni civili «un tentativo distruttivo del disegno di Dio». Siamo quindi in presenza non solo di un papa che rifiuta ogni apertura sul piano dottrinale a istanze provenienti dagli stessi credenti, ma che manifesta la consueta vocazione teocratica pretendendo di imporre la dottrina cattolica a tutti i cittadini, con la gherminella (cui ricorse ampiamente Benedetto XVI) di dichiararla conforme alla «legge naturale». Fra oscurantismo e pauperismo Un pontificato che si riallaccia a quello di Wojtyla, con un un papa conservatore e con aspirazioni teocratiche, ma nascoste sotto un saio sdrucito E tuttavia Bergoglio non porta le scarpette firmate ma ostenta la croce di ferro, rifiuta l'anello d'oro, gira in autobus, lava i piedi agli ultimi, si occupa di loro, si paga il conto in albergo come un grillino qualsiasi, «sparisce ogni volta che può per infilarsi in orfanotrofi, carceri, ospedali a compiere il suo apostolato» (Carotenuto); e invoca una «Chiesa povera e per i poveri», sull'esempio di Cristo e del poverello di Assisi, del quale adotta il nome. Bergoglio, in una parola, unisce al conservatorismo dottrinale che rassicura i cardinali più retrivi la sobrietà di vita, la semplicità di costumi e l'attenzione verso i derelitti, che servono a ristabilire il feeling perduto fra pastore e gregge, specie quello più numeroso e più insidiato dai «lupi famelici» delle chiese protestanti (come li definì Giovanni Paolo II). Per questo, secondo alcuni, Francesco potrebbe addirittura essere stato eletto in vista di contrastare i governi socialisti del continente, così come Wojtyla servì contro il «socialismo reale» - anche se i mutati contesti rendono questa ipotesi poco probabile. In ogni caso la combinazione di conservatorismo teologico e pauperismo, e un richiamo alla povertà evangelica scisso dalla tensione rivoluzionaria che animava la teologia della liberazione, rendono il nuovo papa funzionale a un progetto di riconquista ed estensione dei consensi soprattutto nel terzo mondo. Certo, la cosa potrebbe comportare dei costi che la curia non intende pagare. Ma al riguardo sono certo già pronti o in via di approntamento freni adeguati per impedire che si passi dalle parole e dalle promesse ai fatti. Quel che ci attende, in conclusione, più che un rilancio del mitico Vaticano II, sembra un pontificato che si riallaccia sostanzialmente a Wojtyla, con una restaurazione che procede, ma sotto la copertura della "povertà". Una copertura insidiosa, stando anche alla gioia e alle speranze manifestate in Italia non solo dai cattolici "buoni" ma anche da una certa cultura laica e perfino laicista - che apprezza la favola del poliziotto buono (Gesù) contro il poliziotto cattivo (la Chiesa) e che non ha le idee molto chiare su quel che fu realmente Francesco: l'antidoto della povertà come scelta volontaria e privata contro il veleno di un ordinamento sociale egalitario, predicato dagli albigesi. Non per caso fu lo stesso Innocenzo III a benedire il primo e a sterminare i secondi. 

Walter Peruzzi

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